top of page

Equilibrismi

Mi sveglio alle 5:00 dopo una nottata insonne. Solo il pensiero di rimettermi sui pedali mi ritempra lo spirito. Ora riesco bene ad afferrare le parole di Einstein: "La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti."

La domenica mattina presto il traffico è quasi nullo e la metropoli scorre via in fretta. Attraverso indenne il susseguirsi dei palazzi senza sosta, dai piani bassi i forni e le pasticcerie sprigionano odori di dolci e pane fresco. Sui marciapiedi file di devoti diretti al Santuario di Pompei, mi annunciano che mancano pochi chilometri per raggiungere la Costiera.

 

Da Castellammare a Sorrento incontro i ciclisti più disparati: ciclo amatori della domenica, semi-pro depilati, pensionati col pancione, mountain bikers imbardati manco fosse inverno. Questo sport è bello anche per questo, riesce a mettere insieme persone di ogni età, ad accomunare nella passione caratteri ed estrazioni sociali completamente diversi. Mi sento bene, le asperità di punta Scutolo e punta Gradelle passano leggere senza sfiancarmi troppo. Sarà perché conosco bene quasi ogni centimetro di asfalto, le rampe più dure e brevi dove poter spingere ed i tratti più dolci dove poter rifiatare. Non c'è un metro di pianura, ma meglio così. Nei lunghi tratti in piano non riesco mai a tenere un ritmo constante e come un cerino mi spengo piano piano, logorando i muscoli.

 

Arrivo al centro di Massa Lubrense, da qui inizia la salita per Termini, lì dove appunto termina il golfo di Napoli ed inizia quello di Salerno. Il clima è ideale, c'è il sole ma l'aria è fresca; la scelta di recuperare le energie con sali minerali e panini alla marmellata sembra azzeccatta. Questi tornanti, una volta aspri e torridi, diventano ora alla portata, come se un falegname l’avesse levigati sapientemente nel corso del tempo. L'allenamento e la dedizione porta i suoi frutti prima o poi, ed anche le difficoltà più grandi possono essere superate con la determinazione.  Giunto nella piazzetta di Termini, decido quindi di proseguire l’ascesa, in direzione di quel cucuzzulo perfettamente conico: il Monte San Costanzo. Salendo fra i campi e le rocce spunta la sagoma di Capri, così vicina che appare attaccata alla Punta della Campanella come lo era 16 milioni di anni fa. La strada carrabile finisce, una scala di pietra e legno conduce alla chiesetta di San Costanzo. Carico la bici in spalla e come in una Via Crucis porto il mio fardello fino in cima, a quasi 500 metri sul mare. Sotto di me la costa disegna la forma di rapace della baia di Jeranto, la Torre di Mont’alto è il suo occhio di falco. Sono su una rampa di lancio che mi scaglia direttamente nello spazio azzurro. 

70 chilometri e 1000 metri di dislivello: è tempo di reintegrare con un po' di proteine con un bel micro-panino ripieno di bresaola. Finalmente inizia discesa, dribblo una decina di trekkers americani e mi chiedo: dove saranno i nostri conterranei? Probabilemente sono impegnati a specchiarsi col vestito nuovo, oppure stanno passeggiando sul lungomare liberato ingozzandosi di roba fritta, al massimo sono stesi a prendere il sole sugli scogli. A volte mi sento un disadattato in questa strana società della superficie, le cose ovvie non riesco ad apprezzarle. Sento che la vita è troppo breve per crogiolarsi nell'ozio. Ho bisogno di andare oltre, asportare il velo delle certezze e guardare al di là, ricercare la bellezza nascosta in un angolo dimenticato. Ho bisogno di trapassare questo strato di placenta che ci sazia e ci immobilizza, per dissetare da nuove fonti la brama di conoscenza.

Ma lasciamo stare. Sto divagando e questa è un’altra storia.

Illustrazione di  Marco Renieri 

Dai colli di San Pietro, sulla cresta dalla Costiera Sorrentina, si scollina verso sud-est. In un turbine di correnti la bici si trasforma in un parapendio a pedali, oscillando su questa striscia di asfalto sospesa.  Mi fiondo in direzione del Sole e la luce del mare mi acceca, le volte “a gaveta” risplendono come mammelle celesti. Campanili maiolicati riflettono i colori della natura: il verde degli ulivi, il giallo dei limoni, il blu dell'acqua. Dalle torri di avvistamento saracene sembra di sentire ancora i lamenti, gli spari che annunciavano l’arrivo delle navi turche. E scale, terrazzi, gradini che salgono e scendono in ogni direzione, attraversano ogni piano geometrico. Alle x-y-z cartesiane si aggiunge una quarta dimensione, quella raffigurata da Escher nelle sue celebri incisioni di Atrani.  Perché 3x3=9 gradi di libertà non bastano per inquadrare gli stimoli che il corpo percepisce in questo passaggio ultrasensoriale. In una Metamorfosi delle creature della natura le api, i pesci, gli uccelli, i cavalli diventano tasselli che si incastrano alla perfezione per comporre il magico puzzle della vita. Una vita di lavoro fatta di mani e di sudore, di pietre calcaree appoggiate a secco una sull’altra, di terra dura arata a fatica dai contadini, di assi di legno plasmate per solcare veloci le onde.

A Cetara mi godo il meritato riposo. Mi ricarico di luce solare e mi sorbisco un gran gelato: ricotta, fichi e noci! Mentre il corpo si rilassa il cervello non smette mai di elaborare. Altre mete mi balenano nella testa. Raito, Albori, Benincasa, Dragonea, frazioni di Vietri sul Mare poco battute dalle auto e dai turisti. Ignoro le nuvole che si addensano minacciose sulle montagne e scalo anche questi colli in una pioggerellina fine che mi rinfresca la pelle. La strada si restringe quando passa attraverso i paesi e diventa acciottolata per conservare e rispettare la storia dei luoghi. Chissà quante ne hanno visto passare queste pietre, così levigate dal tempo: prima i cerchi di legno dei carri a cavallo, poi i dischi d'acciaio delle auto del 900 ed ora le gomme della mia bici, non molto diverse da quelle inventate da Dunlop nel 1888.

 

Dai viottoli del borgo si aprono visioni nuove tra le case, la sabbia si posa sotto i porticati e le navi fluttuano sulle tegole. All'orizzonte la Sirena Leucosia giace distesa sul fondo marino ed abbraccia le montagne con le sue dita affusolate. Le colline sono ricoperte di un morbido panno verde, di alberi che brillano di nuove foglie cangianti. Le finestre si aprono sui campi e lasciano pervadere le narici dal profumo delle zagare. I primi fiori di zucca si aprono a campana per accogliere api e calabroni per l'impollinazione. I baccelli di fagiolo iniziano ad allungarsi ed i germogli di pomodoro si duplicano all'infinito.

Su una mattonella vietrese leggo una frase scritta dai bambimi delle scuole elementari, che in nessun altro posto poteva esser così piena di senso compiuto:

bottom of page