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Randonnèe Gran Tour Terme d'Etruria

I parte - 5/6/2015

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Eccomi pronto per una nuova avventura, una nuova sfida. La qualificazione per la Parigi Brest Parigi del 2015 è ad un passo, manca il brevetto più difficile: percorrere 600 chilometri in sole 40 ore! Solo al pensiero mi vengono in mente distanze siderali: Napoli - Bologna, Salerno - Reggio Calabria,  il cammino di Santiago... 

Forse sarebbe stato più facile girare mezza Italia con l’auto, oppure lasciarmi trasportare su un fiammante Freccia Rossa, o ancora meglio volare in aereo. Ma sono sicuro che l'alta velocità dello spostamento avrebbe disintegrato in poche ore il gusto del viaggio, della transizione di colori dalle montagne al mare, del delicato accordarsi dei suoni della lingua che mischia parole e dialetti.

Scelgo di raggiungere Rapolano su un millepiedi di acciaio, un vecchio intercity semivuoto con destinazione Milano. Siamo solo a Villa Literno quando sobbalzo dal sediolino per una frenata improvvisa. Fra strida abominevoli il capotreno avvisa di un malfunzionamento al locomotore: incominciamo bene!

Per fortuna ripartiamo dopo una decina di minuti con un profondo sospiro di sollievo dell'intero vagone passeggeri. Ma non finisce qui perché poche ore dopo, a Settebagni, siamo costretti a cambiare rotta: un vermone gigante della TAV giace ferito sui binari, inerme occupa la linea veloce. 

Deviamo su una tratta utilizzata solo dal servizio regionale fra la Tuscia e la Sabinaattraversando paesini dai nomi dolci: Monterotondo, Passo Corese, Poggio Mirteto. Dopo l’enormità della capitale tutto si fa più piccolo e ritorna alla dimensione umana. Orticelli di quartiere si fanno largo fra ettari di monocultura, le canne di bambù spuntano fra i pali di cemento. Linee di giallo e di verde si susseguono all’infinito, ipnotizzando l’ipotalamo alla ricerca del punto di fuga. E come d’incanto un ciclista sfiora il finestrino, con un colpo leggero di pedali guizza come un’anguilla sullo strappetto del passaggio a livello e supera l’orizzonte del mio sguardo. 

 

Cerco di cogliere il significato di questi piccoli episodi che mi indicano che sono sulla strada giusta, la "Via della lentezza". Nonostante i primi segnali negativi, mi sento sereno in questo disegno già tracciato da tempo da un "Deus sive Natura" spinoziano. Faccio un respiro profondo, le spalle si sciolgono e mi scrollo di dosso le ansie che annebbiavano la mente. Chiudo gli occhi e fra le palpebre e la retina cala un nuovo sipario, si srotola un flash back di immagini a rallentatore. Appaiono le facce e le mani dei compagni di squadra ad incitarmi ed elargirmi trucchi e consigli; riemergono gli odori dalla cucina di casa di mammà nel prepararmi il lauto pranzo prima della partenza; brillano di luce gli occhi di Raffaella che mi saluta dal portone del palazzo, donandomi forza e tranquillità. 

 

 

Inizia la Toscana e le colline si fanno sempre più alte e brusche. Un Maestro modella con le proprie mani paesaggi di creta, conforma i pendii con la pelle dei pastori ed incide sui calanchi le loro vene dove scorre sangue caldo.

Arrivato a Chiusi-Chianciano Terme, avevo una mezza idea di pedalare fino a Rapolano per sgranchire un po’ le gambe anchilosate dal lungo viaggio. Ma le due ore di ritardo mi diminuiscono il tempo di luce a disposizione e son costretto a trascinarmi ancora questa pesante e strana sacca da vugumbrà da una stazione all’altra d’Italia. La macchina a pedali smontata ed impacchettata sembra un animale infortunato, incerottato ed impossibilitato a muoversi, a sfogare la sua potenza sull’asfalto. 

 

Scendo dal treno ed un’ondata di calore mi invade la pelle, dalla terra sale un’aria calda che mi secca il palato e la lingua, presagio del clima che mi attenderà in Etruria. Vedendomi con questo borsone i passeggeri mi sorridono, qualcuno si offre anche per aiutarmi a trasportarlo su per le scale. Bene. Si sente che qui la bicicletta è vista come un mezzo speciale, che merita rispetto. Salgo sul regionale per Siena e dalle grandi finestre osservo lo spettacolo del sole che va a dormire dietro le colline.

Alla stazione di Rapolano rimonto le ruote ed il telaio orfano ritrova finalmente le sue sinuose sorelle. Il paesaggio si rimette in movimento ad una nuova velocità, accondiscendendo le forme della terra in un salire e scendere senza sosta, senza possibilità di riposo.

Vado a fiutare l’aria dove sarà posto il km 0 della Randonnèe. Alle Terme di Querciolaia, tutto sembra tranquillo, gli ultimi bagnanti escono dalle acque calde rinvigoriti camminando su un prato all’inglese tagliato alla perfezione. Ogni minimo dettaglio architettonico e paesaggistico è studiato per essere un tutt’uno armonico. Certo a volte si ha la sensazione di stare in un bel pacco regalo, confezionato per i turisti inglesi e americani... ma i miei occhi sentitamente ringraziano. Dopo tanti abusi ed obbrobi apprezzo volentieri il gioco di prospettive che mi circonda.

Rosy, la proprietaria del B’n’b, mi accoglie come un lontano nipote venuto da lontano. Come se leggesse la mia stanchezza negli occhi mi offre da mangiare nella sua casa di campagna. Un batuffolo bianco di peli si insinua fra le antiche cassettiere, mentre un altro grigio e snello salta sulla sedia ed osserva incantato una mosca che vola fra le grandi piante del salone.  Sembra di essere in un cartone animato ambientato nelle Alpi svizzere: << ...là sui monti con Annette, dove il cielo e sempre blu, là con Dany e con Lucien, vieni vieni anche tu… >>.

 

In questa pace la mia anima irrequieta si rasserena, le tensioni del giorno prima della partenza si sciolgono. Vado a fare quattro passi sull’aia ed una luce intermittente mi sfiora la spalla e scompare dietro un grande tronco di ulivo. La seguo fra gli alberi guidarmi come una lanterna sull’orlo del colle. Sulla cima rivolgo lo sguardo all'ingiù: un mare di lucciole si distende sotto i miei piedi e brilla come una batteria in serie di lampadine di Natale. È una danza ipnotica, sincronizzata con il canto rauco dei rospi.

I miei passi pesanti li disturba ed il gracidio si fa più forte. Sono nel privè di una grande discoteca-labirinto: è evidente che non sono sulla lista degli invitati. L’essere umano è qui un ospite sgradito ed insignificante in questa perfezione di luci e di suoni.

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II parte - 6/6/2015

Mi sveglio alle prime luci dell’alba al canto acuto dei bengalini. Una luce rosa colora le pareti della stanza e si siede sulle poltrone di pelle marrone come un ospite tanto atteso e familiare.

Inizia il rito della preparazione per la partenza: preparo due panini al prosciutto, controllo lo stato di ricarica delle pile e, segnato dall'esperienza della 400, riempio le borsa sotto la sella con mantellina, gambali ed una maglietta di ricambio per la notte. La cucina al piano di sotto sprigiona un bel profumo di caffè e di pasta frolla. Mi fiondo giù per una ricca colazione, un bis di torta alle mele, pane, cioccolato e marmellata di arance fatta in casa. Sto così bene qui che quasi non ho voglia di partire.

Non mi piacciono le attese ed agli appuntamenti cerco sempre di spaccare l’ora. Mi avvio tranquillo verso le Terme di Querciolaia quando già incrocio un primo gruppetto di randonneur sfrecciare verso Asciano. Ipnotizzato dalla velocità delle maglie tricolore non avverto il suono del passaggio a livello e per un pelo passo sotto le sbarre prima che si abbassino. Sono l’ultimo a ritirare la carta gialla di viaggio ma poco importa, non ho nessuna fretta né record da battere. Ho intenzione di viaggiare da solo per trovare il mio ritmo o al massimo unirmi a qualche gruppetto per strada, in un'ottica di risparmio di carburante. Il profilo della traccia è inequivocabile, da qui al km 230 non ci sarà un metro di pianura. In cima ai colli scorgo in lontananza un gruppetto di puntini colorati che pian piano si sfalda su questa striscia di asfalto che si inerpica e ricala come la giostra della montagna russa. Sfrutto l'inerzia della discesa per recuperare un po' quando incontro i primi volti già sofferenti dal brusco cambio di pendenza, un'antipasto ubriacante a base di Chianti e di Brunello. 

Per fortuna la temperatura è accettabile ed un leggero vento fresco accompagna le brusche curve dopo l'ascesa al paese di Trequanda. 

 

Sul falso piano di San Giovanni d'Asso incrocio una figura bianca e blu arcuata, in posizione aerodinamica: è il mitico Mariano, lo riconosco dalla sua bici in titanio e dal completino “made in Sorrento”. Napoletani impegnati in queste distanze son davvero pochi, la maggior parte dei ciclisti campani preferisce partecipare alle Gran Fondo, alle Cronoscalate, ai Criterium... ignari che proprio sulle strade fra Napoli e Roma nascevano le prime avventure "audaci". Scambiamo due chiacchiere in corsa e mi confida di aver subito recentemente un'operazione al cuore. Osservo la freschezza e la gioia della sua pedalata unita ad una rabbia ed una determinazione fuori dal comune.  I suoi gesti e le sue parole da navigato randonneur mi suscitano rispetto ed ammirazione. Ci stacchiamo sulla salita di San Quirico d’Orcia e mi ritrovo reimmerso nella bellezza solitaria del paesaggio. I miei pensieri vagano e per poco non manco la svolta per raggiungere le Terme di Bagno Vignoni. Risvegliato nell'istinto seguo la scia di due ciclisti e raggiungiamo insieme il punto di controllo.

Il luogo è incantevole: un'antica vasca di acqua verde incastonata fra le mura medievali invita a fare un bel bagno rigenerante. Il sole incomincia a picchiare forte ed alla fontana ne approfitto per bagnare i punti cardine del corpo: polsi, collo, tempie e caviglie. Il presidente dell’ARI, Luca Bonechi, apprezza lo spirito tranquillo del nostro gruppetto di “attardati”. Senza fretta ci apprestiamo al ritorno in sella, con le gambe e la testa un po' più vuote ma con una ricarica di sorrisi e di incoraggiamenti. Le pendenze iniziano a farsi più dure. Chianciano, Sarteano, San Casciano: 800 mt di dislivello in 40 km di su e giù che svuotano velocemente il serbatoio di carboidrati. La discesa dura troppo poco e l'atmosfera rovente asciuga le membra tremolanti, contorte dopo un prolungato fuori sella. 

Nei pressi di Cetona incontro un altro monumento della nazionale randonneur, Nico Aurisicchio: fiero, sfoggia la maglia dei 2200 km del Giro delle Repubbliche Marinare. Sono le 14 e per raffreddare il cervello iniziamo a parlare dei laghi carsici del Matese, dei pendii innevati di Bocca della Selva, dei massicci calcarei che svettano solitari in un set da allunaggio lunare...

Affrontiamo così lo scollimento di San Casciano Bagni quando l'aria si fa irrespirabile: saette fotoniche bucano le molecole di ossigeno spezzandomi il fiato. Arrivo al tendone bianco del secondo punto di controllo che mi sembra quasi un miraggio. In mezzo alla piazza assolata un'alta torre di pietra bianca spezza il cielo azzurro in due. Mi rimpinzo con fette di pane all'olio d'oliva, sale e formaggio, con finale di crostata e banana. Il mix letale di cibo-sole-stanchezza mi fa girare la testa e lo stomaco. Vago invano nella piazza in cerca di un filo d’ombra ed allora decido di rifugiarmi in un bar per prolungare un po’ la sosta. Son tentato di sorseggiare con Mariano una bella birra ghiacciata prima di ripartire, ma poi preferisco rinfrescare l'anima con un bel gelato al cioccolato.

 

La terra ed i colori intorno a me virano pian piano accordandosi con il calar delle palla di fuoco. Le ombre finalmente si allungano sulla strada scavata nel tufo grigio, accostandomi alle alte pareti ascolto il vigore della roccia. Sorvolo sulle tegole rosse di Sorano, Pitigliano, Sovana con gli ultimi raggi di luce che si incuneano fra i vicoli delle case. 

Mi assale una sensazione di pace e la tentazione di fermarmi e riposare fra queste mura amiche è forte. Scatto allora una foto nel tentativo di immortalare questo magico momento della giornata.  Le asperità sembrano ora più dolci, ammorbidite dalla visione dei tetti e dall'aria fresca che sale attraverso la stretta gola fluviale del Fiora.

L'asperità di Catabbio passa così piacevolmente ed attraverso un bosco di ulivi passo sulle sponde dell'Albegna.

Ascolto lo scorrere dell’acqua provenire da ogni direzione, un concerto di archi e di timpani si sintonizza col ticchettio dei mozzi delle ruote.

Attirati dall’umidità e dallo zolfo dell'aqua termale di Saturnia sciami di moscerini ostacolano la via: senza occhiali devo in continuazione abbassare il casco per parare la retina dall’agguato.

Nel violetto del tramonto riacciuffo la sagoma di Mariano: con le ultime forze ci accingiamo al ristoro di Pomonte. Il roadbook indica una svolta a sinistra al km 219, imbocchiamo la devizione ma superiamo senza accorgecene il punto di controllo.

La stanchezza e la scarsa lucidità ci affievola i sensi di orientamento e vaghiamo per un po’, sorpresi da tanto silenzio. Decidiamo quindi di ritornare sui nostri passi e finalmente scorgiamo delle lucine rosse lampeggianti che ci guidano come stelle comete verso il luogo amico.

Lo spettacolo randagio al centro ricreativo di Pomonte riempie lo spirito dopo 12 ore di sofferenza in sella. Il tempo sembra essersi fermato: sono in una taverna medievale, un luogo di sosta per i Pellegrini provenienti da tutti i Regni d’Italia. Mentre i cavalieri si rifocillano lo stomaco e scherzano con l’oste, i loro cavalli riposano fuori, ancora fumanti dalla pelle calda, ma indomiti. Manca solo la comparsa di un giullare per completare l'affresco, che in dialetto toscano improvvisa strofe e racconti di avventurieri. 

 

 

Scende la notte in questo borgo tranquillo diventato all’improvviso chiassoso. È tempo di rimettermi in sella ed affrontare un nuovo scollinamento, il più lungo: 10 chilometri da Pomonte fino a Scansano. Riparto con una decina di compagni, in un gruppo di luci che ondeggiano assecondando il ritmo della pedalata.

La doppia razione di riso mi ha fatto riprendere le forze, le gambe rispondono bene, nei polmoni entra finalmente aria fresca e più pulita man mano che saliamo di quota. Senza accorgemene mi trovo da solo nel buio, alzo gli occhi al cielo ed una moltitudine di stelle disegna forme di animali fantastici sopra la mia testa. Spengo il faro a led e le lucciole ai lati della carreggiata si dispongono in un firmamento terreno.

L'universo diventa capovolto e mi sento parte della rotazione del pianeta.

 

 

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III parte - 7/6/2015

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